Dottor Morina,  l'Università Popolare di scienze della salute psicologiche e sociali, di cui è Presidente, si è sempre posta in maniera molto critica nei confronti della cosiddetta legge per la regolamentazione delle professioni non organizzate in Albi.  vuole spiegarci perché?

E' molto semplice.  Prima di tutto, mi lasci dire che, almeno in questo caso, non siamo soli perché tutte le istituzioni e le organizzazioni che si occupano di salute e di benessere in maniera seria e professionale hanno subito preso le distanze da questa legge piuttosto equivoca nei suoi scopi.
Solo le solite scuole che si sono arricchite in questi anni vendendo titoli di naturopatia inutile hanno cercato di sfruttare questa legge per i loro scopi commerciali. 

La legge in questione, infatti, è stata istituita solo a scopo statistico e informativo ai fini della redazione di un Registro delle professioni, il quale non ha alcun valore legale, ma solo, ripetiamo, informativo e ad uso del Ministero dello Sviluppo Economico. Spacciare questa legge come la legge di riconoscimento della naturopatia è una operazione commerciale penalmente perseguibile che testimonia l'infimo livello culturale e intellettuale di coloro che fanno riferimento ad essa in questi termini.

Dopo la pubblicazione di questo articolo, il Ministero dello Sviluppo Economico ha escluso le scuole di naturopatia che ne avevano fatto richiesta tramite le loro associazioni di categoria, dalla possibilità inserimento nel Registro tenuto dal Ministero. La motivazione è che queste scuole insegnano a praticare atti medici di competenza medica e non naturopatia. Queste scuole continuano ad operare come se nulla fosse accaduto, continuando a sfruttare l'ignoranza dei loro clienti.

 Vede, un principio giuridico universale vuole che una legge che si occupi di regolamentare l'esercizio di una determinata attività sia tale solo a condizione che le sue norme indichino esattamente quale  sia l'ambito di operatività, le condizioni, i limiti che riguardano lo svolgimento di essa. Una legge ha significato e piena attuazione soltanto se  la regolamentazione da essa prevista permette di definire chiaramente quali attività rientrino all'interno di quanto disposto dalla legge, e quante invece debbano esserne escluse in base a precisi criteri, in maniera vincolante  e non autoreferenziale.

 In termini più semplici, una legge che volesse regolamentare l'esercizio della professione di naturopata, perché di questo si tratta, dovrebbe definire in base a quali criteri tale attività possa essere esercitata, vietando, sanzionando ed escludendo da tale esercizio tutti coloro che a tali criteri non si conformino. Il punto è che questa legge, la n° 4 del 2013, non si riferisce alla naturopatia, ma genericamente alle professioni non organizzate in Albi, e quindi non può regolamentare l'esercizio di una professione specifica. Ergo, è totalmente inutile.

Quindi, mi pare di capire, lei critica non soltanto l'utilità, ma anche la validità di questa legge?

Certamente, e nella maniera più netta,  ma la nostra critica si rivolge non tanto ai promotori di essa, i quali avevano ben altri intenti, quanto a coloro che si sono accodati per scopi puramente commerciali. Mi spiego: questa legge non prevede che da questo momento in poi chiunque eserciti una qualunque professione deve necessariamente essere iscritto a un Albo professionale, oppure conformarsi a quanto disposto dalla legge 14 gennaio 2013 n°4.
In altri termini, che questa legge esista o non esista, chiunque potrà sempre svolgere qualsiasi professione, anche quelle che le associazioni di categoria vorranno regolamentare in maniera autoreferenziale  secondo questa legge,  legittimamente e senza dover dichiarare alcunché. 

In pratica,  non soltanto questa legge è inutile perché non vieta e non può vietare a nessuno di esercitare una professione nel rispetto della legge senza doversi attenere ai criteri stabiliti dalle associazioni di categoria cui essa fa riferimento, ma, proprio perché non è la legge a definire i contenuti e l'ambito di competenza di queste professioni, essa rischia di creare una condizione di caos nella quale qualunque associazione di categoria potrà definire la propria idea di professionista in maniera diversa da quella di un'altra associazione.

Quindi, chi potrebbe avere vantaggi da una applicazione di questa legge?

L'unico vantaggio lo ricaverebbero quelle scuole e quelle associazioni di categoria che si sono subito già mosse per costituire una specie di lobby tramite la quale indurre i più sprovveduti cittadini a credere che l'esercizio di queste professioni possa essere legittimamente svolto soltanto aderendo a tali associazioni o seguendo la formazione proposta da queste scuole. Il che è del tutto falso,  e tradisce un intento per lo meno ingannevole e avente come unica finalità l'arricchimento personale di certi personaggi e di certe organizzazioni ben note, le quali non hanno a cuore la diffusione della naturopatia e del counseling come scienze della salute, ma soltanto gli introiti che possono derivare loro dalla speculazione su questa materia.

Come si pone, quindi, l'Università popolare di scienze della salute psicologiche e sociali nei confronti della professione di naturopata o di counselor, se non intende fare riferimento alla legge in questione?

È importante chiarire che  quelle che sono insegnate dalla nostra Università popolare non sono la naturopatia e il Counseling, anche perché queste discipline e queste professioni, in realtà, non corrispondono a nessuna definizione condivisa. Le nostre scuole si vantano di insegnare la consulenza in naturopatia, che è cosa ben diversa dalla naturopatia, e il counseling psicobiologico, che è cosa ben diversa dal Counseling tradizionale. 

In altre parole, se anche qualche associazione di categoria volesse definire contenuti e criteri per lo svolgimento della professione di naturopata e di counselor, questi non ci interesserebbero minimamente, poiché le nostre scuole si fondano su  criteri totalmente autonomi e diversi, per approccio, per contenuto, per etica e per scopi da quelli di tali associazioni commerciali. In altre parole, molto semplici, poiché questa legge non è vincolante, essa non si applica alle discipline e alle professioni da noi insegnate che, ripeto, richiamano solo nel nome la naturopatia e il counseling ma sono costituite da un impianto teorico, un metodo, un codice deontologico completamente autonomi.

Ma la legge in questione, in realtà, non è nata per regolamentare la naturopatia ma professioni di altro tipo.

Esatto. Essa ha un senso quando deleghi ad associazioni di categoria, i cui componenti  condividono ruoli, compiti, mansioni, condizioni e limiti della loro attività,  la definizione dell'ambito di operatività e dei criteri generali di svolgimento di essa, come avviene, per esempio, per gli amministratori di condominio.  ma tutto questo è possibile soltanto quando tale attività sia  già praticata, secondo codici, criteri e  norme condivise e universali e non comporti il rischio di invadere l'ambito di competenza di altre professioni. Questo senso cessa di esistere quando l'attività svolta non è definita perché, come nel caso della naturopatia, non si comprende in che cosa consista, se operi in ambito sanitario o al di fuori di esso, quali siano gli strumenti che utilizza e quali gli scopi. Il riferimento a tutte le tecniche e i sistemi di cura che possano agire sul benessere della persona è evidentemente inapplicabile, perché in questa categoria di attività rientrerebbe praticamente di tutto, dai corsi di cucina, a quelli di yoga, ai concerti e agli spettacoli,   all'attività delle guide alpine, o dei maestri di nuoto e di ginnastica,  persino all'attività  delle cosiddette scorte, che, a rigore, utilizzano tecniche corporee per il benessere della persona anch'esse, e così via.

Ma allora, quale può essere il senso di questa legge per quanto riguarda la naturopatia?

Il senso è uno solo: questa legge è stata evidentemente utilizzata come strumento per promuovere puri interessi economici della ristretta lobby delle scuole di naturopatia tradizionale e commerciale. Attraverso l'ingannevole tutela offerta da questa legge (che, ripeto, non è vincolante e non definisce in che cosa consista la professione), i soliti personaggi che ruotano intorno al business della naturopatia intendevano speculare ancora una volta sul legittimo interesse e diritto dei cittadini a una maggiore conoscenza e consapevolezza in materia di salute e di benessere. Lo scopo concreto non consiste in nient'altro che indurre a credere che l'appartenenza a un'associazione di categoria, il superamento di un esame da essa predisposto e l'adeguamento a criteri definiti dalla associazione stessa abbiano una validità "quasi" di legge, o comunque superiore a quella di associazioni che non si adeguano a questa iniziativa,  in base a criteri del tutto autoreferenziali e che possono essere diversi tra un'associazione di categoria e l'altra riguardo allo stesso tipo di "professione".

Ma perché molti lo ritengono un passo avanti ai fini della regolamentazione della naturopatia?

La naturopatia, in quanto filosofia di vita, non ha bisogno di una regolamentazione perché la sua attività si esplica in forma di consulenza e la consulenza è già disciplinata dal codice civile agli articoli 2222 e seguenti. Il problema è che, facendo rientrare nel termine naturopatia e nella relativa professione tutte le medicine alternative esistenti, prive di qualsiasi conforto e verifica scientifica, si induce a pensare che  chi le pratica siano in qualche modo legittimato  da questa legge.

E non è così?

Per nulla. Ogni associazione di categoria può definire i criteri in base ai quali i suoi associati possono definirsi naturopati. Ma questi criteri sono puramente arbitrari. È inconcepibile e assurdo che un naturopata serio debba dimostrare di essere tale superando un esame nel quale gli si richieda di adeguarsi a nozioni, dati, protocolli di pura fantasia, privi di fondamento scientifico. Per esempio, che egli debba saper riconoscere dai segni dell'iride la presenza di una predisposizione a una patologia renale,  o quale fiore di Bach curi l'ansia e la depressione. Si tratta di una pura e semplice assurdità ed è anche una violazione di legge precisa. Mi lasci citare quanto afferma in proposito il Presidente dell'Ordine degli Psicologi di Alessandria:

" non esistono associazioni di Counseling riconosciute dall'ordinamento giuridico: anche in seguito alla emanazione della legge quattro 4/2013, relativa alle professioni non regolamentate, è semplicemente previsto, come già accadeva in precedenza, che le associazioni degli esercenti professioni non regolamentate possono chiedere di essere inserite, previa dichiarazione in ordine alla sussistenza di determinati requisiti, resa sotto la responsabilità dei rispettivi legali rappresentanti, in un elenco pubblicato sul sito Internet del Ministero dello sviluppo economico. Non vi è quindi un riconoscimento in senso proprio, ma, al più, la mera pubblicazione di un elenco avente scopo esclusivamente conoscitivo".

Quindi, quali sono le conseguenze che possono derivare ai cittadini dall'applicazione di questa legge, secondo lei?

Nessuna, almeno in senso positivo. Che essa sarebbe stata inapplicata era chiarissimo dal giorno della sua pubblicazione, tant'è vero che da allora, come avevamo previsto, essa non ha avuto attuazione per quanto riguarda la naturopatia, il Counseling e altre discipline complementari. Lo dimostra il fatto che, per esempio, a distanza di più di un anno e mezzo dalla sua pubblicazione,  in occasione della fiera del SANA di Bologna del settembre 2014 i promotori di questa legge per quanto riguarda la naturopatia abbiano sentito il bisogno di presentare in una conferenza i loro chiarimenti circa l'applicabilità di essa, oppure il fatto che circola sul Web la richiesta da parte di una non meglio identificata associazione di naturopatia di Trento, di organizzare un convegno per capire come muoversi nei confronti di questa legge.

Nessun risultato concreto, quindi?

Beh, in realtà un risultato c'è ed è piuttosto interessante. Grazie alla pubblicazione di questa legge bufala (almeno per quanto riguarda la naturopatia, il Counseling e le medicine complementari) è ancora più facile riconoscere i ciarlatani in circolazione. Dal giorno successivo alla sua pubblicazione, infatti, personaggi dalla professionalità e serietà piuttosto dubbia, per usare un eufemismo, hanno approfittato di essa per qualificarsi immediatamente come "operatori del benessere", "naturopati", "counselor", a norma della legge numero quattro del 14 gennaio 2013. Tutto ciò, in altre parole, senza che questa legge avesse ancora definito alcunché.

Intervista raccolta dal Presidente della associazione "Una legge per le medicine alternative",

Valerio Bianchi, il 12 settembre 2014.