Anche se nessuna legge ne vieta espressamente l'utilizzo, il termine "terapia" è abitualmente associato alla pratica medica o psicologica, per cui occorrono molte cautele ai fini del suo utilizzo in ambito  professionale.

Se non si tratta, infatti, di cura di patologie o disturbi psichici, essa deve qualificarsi più propriamente come attività di consulenza, di insegnamento, di formazione o di assistenza. 

Ma, in questo caso, essa deve rivolgersi alla cura del benessere della persona, senza alcun riferimento a condizioni di alterazione dello stato di salute, squilibri o difficoltà di qualsiasi tipo, esattamente come può fare, legittimamente, un insegnante di ginnastica, una badante o un consulente del benessere.

Altrimenti, se essa è associata a una presa in carico della condizione di salute di una persona, con lo scopo di recuperarla, mantenerla, migliorarla o di agire in prevenzione, essa si configura come pratica medica, in quanto queste attività sono di competenza medica o psicologica.

Quindi, la floriterapia, la cromoterapia, la dendroterapia o la cristalloterapia sono pratiche riservate al medico se rivolte alla cura della alterazione di salute lamentata dal cliente, così come effettivamente avviene nella pratica dell'esercizio di queste discipline. 

Chi non è medico o psicologo può solo prendersi cura di una persona, purché non operi con riferimento ai disturbi da essa lamentati, ma solo in direzione della promozione del benessere, indipendentemente dal tipo di problema lamentato dal cliente. 

Cosa che evidentemente non avviene quando si sottopone una persona che lamenta un qualsiasi disturbo a una pratica che non va nella direzione del benessere, ma della cura di un disturbo, proprio come nella floriterapia, cromoterapia, cristalloterapia o in tutte le terapie definite "olistiche", le quali configurano tutte due ipotesi di reato: abuso della professione medica e abuso della credulità popolare.