Il feto comincia a rispondere ai suoni e rumori a partire dal terzo trimestre della gravidanza; i neonati riconoscono innanzitutto la voce della propria madre. E’ molto semplice collegare questa abilità alla necessità che il bambino ha di riconoscere immediatamente chi lo accudisce: al momento della nascita la vista è ancora molto confusa e il riconoscimento degli stimoli ambientali si deve immediatamente basare sull’udito e, probabilmente, sull’olfatto. Secondo altri studi, l’esperienza intra-uterina viene condizionata anche dalla posizione asimmetrica del feto: data la vicinanza di questo a una gamba della madre piuttosto che a un’altra, mentre ella cammina il feto sentirà un passo più forte dell’altro. E’ probabile che l’uomo formi la propria struttura percettiva grazie a questa esperienza. Nella maggior parte dei sistemi musicali vi è infatti la tendenza a far procedere il basso quasi sempre sul tempo forte, con movimenti regolari, mentre la melodia si muove prevalentemente sul tempo debole in modo più ornato e soprattutto meno regolare: il camminare della madre e il battito del cuore sono per il feto i suoni gravi e regolari; la voce, invece, corrisponde ai suoni più acuti (nei limiti della conducibilità attraverso i liquidi) e molto meno regolari. 

Per questo camminare a passo costante, o correre, ci danno una sensazione di conforto e di piacere: il ritmo scandito dai nostri passi è il ritmo percepito da tutto il corpo del passo della nostra madre, che si abbina a quello del suo battito cardiaco. Esso ci lega alla nostra esperienza di vita prima della nascita vera e propria, e tramite le istruzioni genetiche  che ci insegneranno a muoverci nel mondo, da adulti,  a quel filo di continuità della vita che ha persino preceduto il nostro concepimento, e che ci riporta alle origini della vita stessa.