Carl Gustav Jung, il celebre psichiatra,psicoanalista ed antropologo svizzero, sosteneva che durante i primi quarant’anni di vita si appartiene al mondo, invece, nei successivi quaranta o piu’ anni, si tende a tornare a se’ stessi, si avverte cioè la necessita’di una sorta d’introspezione, si fa strada la voglia di allontanarsi dalla mondanita’ e dal contatto continuativo con tutto cio’ che è esterno a noi.
Quando leggo un libro, al suo termine mi rimangono in mente poche nozioni, quasi che la mente, intelligente, compia autonomamente una cernita accurata alimentandosi solo di ciò che le serve realmente in quel momento e scartando, di conseguenza, ciò che ritiene invece inutile.
Ed è così che leggendo appunto Carl Gustav Jung, tra i tanti interessanti concetti da lui espressi, questo, che riguarda l’esigenza ad una data età di un diverso approccio al mondo e a sé stessi, è stato per me un valido spunto di riflessione.
E pensa e ripensa, mi sono resa conto che nei primi quarant’anni della mia esistenza ho vissuto prevalentemente senza sviluppare una reale consapevolezza di ciò che stavo facendo lasciando che la vita quasi mi scivolasse addosso così come “doveva essere”; ma un conto è seguire l’onda, un conto invece è cavalcarla, surfarla quell’onda.

Scattati i fatidici quaranta ho dunque cambiato rotta decidendo di mettermi in discussione e di passare al vaglio accuratamente tutti i pilastri ideologici che mi avevano sostenuto sino a quel momento e che avevano inevitabilmente dato una determinata direzione alla mia vita.Se varchi la “soglia”, se decidi di passare il “portale”, devi avere primo un gran coraggio, secondo devi essere consapevole che stai per fare, molto probabilmente, un gran salto nel vuoto non dotata di paracadute; ma siccome senza pensare, senza novità, senza traguardi mi sento morta, ho deciso di accettare la sfida che da sola mi ero posta ed ho apportato qualche” modifica” alla mia vita.
Per prima cosa mi sono auto-sottoposta ad un test composto da tre domande:
Prima domanda: “ ti piace vivere in un posto dove fai fatica a respirare perché troppo inquinato e dove non riesci a fare 50 km in bici da corsa senza rientrare a casa con i polmoni più’ostruiti di quando sei partita!?”
Risposta: “No!”
Seconda domanda:” Ti piace svolgere tutti i giorni un lavoro in cui ti viene negata anche una minima autonomia decisionale solo per guadagnare i soldi che bastano al mutuo della casa, alla rata della macchina e a qualche drink in discoteca!?”
Risposta:”No!”
Terza ed ultima domanda:”Ti piace passare il tuo tempo libero con persone che per riuscire a sorridere devono sballarsi con una canna o un cocktail e la cui massima aspirazione è quella di riuscire ad acquistare un capo firmato da sfoggiare nei weekend!?”
Risposta:”No!”
E allora, dato l’esito dell’auto-test, me ne vado!
Me ne vado, non voglio più seguire l’andazzo perché l’andazzo non mi soddisfa, non mi fa sentire bene, non fa per me.
Ribalto tutto, creo scompiglio,rimescolo le carte, mi licenzio dal posto fisso (nooo! Ma sei matta!), affitto la casa, lascio parenti ed amici, parto per l’ignoto con quattro stracci in una valigia..
Ho deciso, me ne vado…ma dove vado!?
Vado ad abitare in montagna perché in montagna l’aria è buona, dicono; in montagna mi sento libera, libera di correre dove voglio, libera di andare su e giù con la mia bici da corsa, libera di esplorare posti nuovi e solitari, libera dal grigiore della città e soprattutto libera dagli zombie che vi abitano (seguite il senso del discorso senza averne a male perché ovviamente non sto dando giudizi…).
E così me ne vado…Arrivo in un posto dove non conosco nessuno; da un giorno all’altro mi trovo un  monolocale arredato, mando qualche curriculum e ricomincio da zero.
Il nuovo lavoro mi lascia molto più tempo libero di prima e niente, vi assicuro, niente è più prezioso del tempo libero perché quando si hanno lassi di tempo a disposizione, veri ed inestimabili tesori, si può PENSARE!
Citando ancora l’illustre psicoanalista svizzero (tengo a precisare che non ne sono una fan sfegatata, ma ne apprezzo alcuni spunti), “…pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette, già per questo, non ha modo di esprimere continuamente giudizi”.
“Pensare è molto difficile…La riflessione richiede tempo…” Mi piace! Fa al caso mio!
E a furia di pensare e ripensare mi capita di rimettermi di nuovo in discussione..
Lavoro in una casa per anziani; gli anziani (non  mi piace chiamarli” vecchi” perché ho conosciuto novantenni giovanissimi e miei coetanei attempatissimi), per essere veramente ben accuditi, richiedono moltissimo tempo, come i bambini; a tuo figlio piccolo non puoi dire “ti voglio tanto bene, mangia tutta la pappa e poi dormi sereno..vengo dopo a controllare che tutto sia in ordine!”, perché se vuoi che il pargolo cresca con tutti i “crispi” in regola devi dedicargli molto tempo, attenzioni costanti e quotidiane, devi sommergerlo d’amore e d’affetto i quali comprendono  anche  caldi e rassicuranti abbracci.
Così è per l’anziano, ma in un istituto non c’è spazio , purtroppo, per tutti questi “salamelecchi”; si, la gente la tratti bene,ma devi correre, ci sono mille cose da fare sia pratiche che burocratiche, telefoni che suonano,parenti con cui interagire,pompe funebri da coordinare,colleghi infelici da consolare, pranzi, cene, code al wc e chi più ne ha , più ne metta…
La casa anziani è un lazzaretto dove innumerevoli “Florence Nightingale”, un po’ meno entusiaste della succitata, si agitano per otto ore cercando di guadagnarsi la pagnotta.
Ma essendo una che dai quaranta ha deciso di mettersi a pensare, mi sono resa conto che a quel tipo di lavoro mancava qualcosa; durante quelle otto ore mi sentivo appagata solo quando riuscivo ad accostarmi ai degenti non fisicamente, non solo, ma umanamente, cioè quando spendevo minuti preziosi per ascoltare storie di famiglie, di guerre, di pace, di lutti, di vicende vissute lasciandomi letteralmente travolgere da quelle lontane epopee condividendo emozioni, rimpianti e sempre le lacrime.
Gli anziani amano raccontare e parlare, ma non osano perché sono convinti che per loro le porte sono ormai chiuse.
Per egoismo, ripeto, per puro egoismo perché non sono né l’emulo di Madre Teresa né quello di Santa Caterina da Siena, quindi solo per cercare di rendermi più interessante e gradevole la lunga giornata lavorativa, mi sono inventata un “modo” che alleggerisse le fatidiche otto ore.
Il “modo”, come accennato, era quello che nessuna scuola professionale insegna: essere un essere umano che tenta sinceramente di entrare in contatto con un altro essere umano.
E qui si apre il  mondo, ma lo chiudo subito perché questa lunga premessa aveva il solo scopo di arrivare a spiegare i motivi per cui ho deciso di seguire i corsi di formazione UNIPSI.
Sempre animata dal demone dell’irrequietezza e dell’insoddisfazione che mi caratterizza e soprattutto non paga degli insegnamenti della medicina ufficiale, che troppo spesso mi ha lasciata “perplessa”, decido di iscrivermi ad un corso a Milano di Naturopatia.
Tutta giuliva mi recavo due week end al mese in questo posto dove ho conosciuto persone fantastiche, ma dove non ho imparato, ahimè, proprio nulla.
Per me,ed anche per gli antichi latini, IMPARARE significa procurarmi un qualcosa che mi possa servire, una risorsa nuova da poter spendere; il senso ultimo che questo vocabolo vuole esprimere è l’acquisizione di nuove capacità, conoscenze concrete ed autentiche che prima non si avevano.
Confesso di averci messo tutta e più di tutta la mia buona volontà, ma già durante il primo anno di corso ho chiesto candidamente ad un docente:”scusi, ma a che cosa servono tutte queste nozioni prive tra loro di nesso logico, che ci state propinando!?”e la risposta, ancora più sincera è stata :”.. a niente! Ovviamente!”.
Detto questo ho comunque portato a termine il ciclo di studi perché la speranza è l’ultima a morire ed anche perché i gentili compagni dei corsi più avanzati sostenevano a piè sospinto che il “succo” del discorso doveva ancora rivelarsi.
Non abbiate timore : la scuola l’hanno chiusa già da anni, ma state in guardia perché ne circolano a tutt’oggi di molto simili.
Terminato questo “impegnativo”corso di studi, alcune amiche e conoscenti mi hanno chiesto di organizzare una serata in cui avrei dovuto parlare della Naturopatia e delle innumerevoli e prodigiose scoperte che avevo fatto frequentando tanto assiduamente quella scuola.
Obbediente e ligia al dovere, qualche sera prima del fatidico incontro, mi accingo a buttar giù una bozza di ciò che avrei voluto dire, ma con mia sorpresa, non troppa in verità, non scrivo nulla lasciando in bianco il foglio degli appunti.
Ragionando tra me e me, mi convinco del fatto che tutto il corpus di nozioni acquisite in tre anni non hanno tra loro un filo conduttore, in realtà non hanno senso , sanno solo d’inganno e di raggiro, assomigliano tanto ad un miraggio nel deserto.
Mi presento comunque alla serata e tra una pizzetta e qualche patatina disquisisco circa la “mia” Naturopatia; parlo del mio vivere in mezzo alla natura, dell’importanza di ritagliarsi momenti per “ricaricarsi”, del circondarsi di cose piacevoli e persone con cui intrattenere relazioni appaganti e profonde, parlo del fatto di non concentrare l’attenzione solo ed esclusivamente sul lato esteriore della nostra persona e di ricavare ogni tanto dei momenti da dedicare anche al benessere altrui.
Alla fine del lungo monologo, ho regalato a tutti i presenti una copia di dieta depurativa della durata di tre giorni che avevo scaricato casualmente da internet pochi minuti prima di recarmi all’appuntamento al semplice scopo di conferire un tono professionale al mio intervento; la cosa che mi ha lasciato a dir poco stupefatta riguarda il fatto che mi sono sentita piovere addosso mille domande circa i presunti miracolosi effetti della dieta come se tutto ciò che avevo detto durante la serata fosse stato o non udito o prontamente cancellato e come se magicamente io dovessi rivelare segreti insondabili sul dimagrimento rapido, indolore e duraturo.
Da questa breve, ma pregnante esperienza ho capito che quasi a nessuno importa prendere in mano saldamente il timone della propria vita perché i più reputano maggiormente conveniente delegare agli “esperti “ del settore il loro benessere e persino la loro pseudo-felicità.
Ovviamente non mi sono mai proposta in veste di naturopata perché, in coscienza, non me la sentivo di imbrogliare le persone raccontando un cumulo di fandonie e, un po’ delusa, sono ritornata in seno alle mie amate montagne.
Non sono una navigatrice seriale, ma un giorno, curiosando su internet m’imbatto in un commento di una ragazza che sosteneva il fatto secondo cui in Italia esiste una sola ,vera scuola che si ispira agli originali principi naturopatici: l’ UNIPSI; figuriamoci se non andavo a sbirciare…
Pochi giorni dopo mi iscrivevo al corso triennale on line di Naturopatia Energetica proseguendo senza sosta e timori con il percorso di consulente e formatore del benessere.
Quella che ho frequentato io non la definirei una “scuola”, bensì un percorso di vita vero e proprio; un cammino duro, serio, impegnativo, pieno di spunti, riflessioni filosofiche e , sicuramente, non per tutti.
Durante questi anni di studio, sotto la guida e la supervisione attenta di docenti realmente motivati oltre che ben preparati, ho avuto modo di approfondire concetti che allo stadio primitivo già mi appartenevano, ho avuto la possibilità di apprenderne molti altri di cui non ero in possesso; in breve mi è stata data la possibilità d’IMPARARE e COMPRENDERE.
Comprendere in primis che la naturopatia non vuol dire assolutamente “sopportare” una persona che parla per un’ora di cose che non ci interessano per poi mandarla a casa con una boccetta di rimedio simil-allopatico in tasca; non vuol dire sedersi dietro una scrivania fingendosi medico, ma lavandosene le mani della responsabilità di cui è investito un medico; non vuol dire soprattutto rinunciare a riflettere con la propria testa affidandosi ciecamente a pratiche magiche d’altri tempi e d’altri mondi prive di ogni serio riscontro scientifico.
Il leitmotiv della formazione che ho seguito è riassumibile a mio avviso con una sola, ma grandiosa parola: AMORE!
Impara ad esserci con il cuore, impara ad immedesimarti nell’altro,nella sua difficoltà, nel suo dolore; impara ad essere un uomo che guarda negli occhi un altro uomo, impara ad abbassare veli, difese, maschere, almeno per un  momento.
Apprendi l’arte d’amare e d’essere una persona migliore per te stesso e per metterti al servizio anche degli altri.
La naturopatia “commerciale” spinge l’operatore a chiudere le porte (quelle del cuore) al  suo cliente perché lo scopo di queste scuole è quello di formare persone allenate a tenere il malcapitato più tempo possibile assoggettato alle fantasmagoriche cure del fantasioso naturopata e non certo quello di renderlo autosufficiente e padrone della propria vita, al solo scopo di svuotargli le tasche.
Certo,mi rendo perfettamente conto che quello che dipingo è un quadro inquietante,ma è ciò che realmente si trova molto spesso in circolazione,basta aspettare il proprio turno nella sala d’aspetto di un ragioniere che nel tempo perso si spaccia per naturopata e ci si renderà conto che il mio giudizio non è poi così lontano dalla verità.
La proposta dei corsi UNIPSI si basa su presupposti diametralmente opposti a quelli succintamente sopra descritti; infatti  insegna che il naturopata non è uno spacciatore di fandonie inventate e rimedi naturali che, per la maggior parte, non trovano posto nella letteratura scientifica, ma è un uomo o donna  aperto, intelligente, curioso, attivo, che ha a lungo lavorato su sé stesso per  rapportarsi con il  suo cliente al meglio rendendolo al più presto autonomo nella gestione della propria vita.
Tanto per non dimenticare il mio caro C.G.Yung, sappiate che “ a perdere potere si guadagna in serenità” e, a tale proposito, prendo spunto per mettere in luce un altro prezioso fondamento della filosofia UNIPSI secondo cui il cliente è reso, sin dalla prima seduta , edotto circa il fatto di non essere sottomesso al “potere” del terapeuta a causa della sua temporanea fragilità psicologica in quanto essere bisognoso d’aiuto; viene chiarito subito che dev’essere solo e solamente lui il primo pilota, il direttore dell’orchestra, il fautore del cambiamento.
L’operatore è quindi colui che guida, accompagna umilmente una persona che momentaneamente si trova in difficoltà, camminando fianco a fianco verso orizzonti più rosei; un Virgilio, se vogliamo, che conduce e scorta il suo Dante per meandri oscuri ed intricati al fine di arrivare insieme a contemplare la luce.
La formazione scolastica vera e propria è affiancata continuamente da proposte di approfondimento rappresentate da testi suggeriti, letture stimolanti da compiere che non lasciano mai delusi e che arricchiscono l’intelletto stimolando ad una continua ricerca.
Questa è la mia esperienza nel mondo UNIPSI, un’esperienza appena cominciata perché questo tipo di formazione mi ha dato il “LA” per intraprendere un percorso che durerà tutta la vita qualsiasi cosa decida di fare.
Spero che la mia testimonianza serva ad altre persone che come me vivono nella costante sete di sapere, un sapere non fine a sé stesso, ma destinato ad  una conoscenza al servizio dell’uomo.
Grazie della paziente attenzione.


Sara Cantù